Monaco Journal - Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative

Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative
Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative

Una proteina sintetica contro le malattie neurodegenerative

Fa luce sul meccanismo chiave dell'Alzheimer

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La prima versione sintetica della proteina all'origine di gravi malattie neurodegenerative come l'Alzheimer permetterà di combattere queste patologie, facendo luce sul loro meccanismo chiave e portando a nuove armi sia per la diagnosi che per la terapia: è stata ottenuta in laboratorio dal gruppo di ricercatori di Northwestern University e Università della California a Santa Barbara, che hanno pubblicato i risultati ottenuti sulla rivista Pnas dell'Accademia Nazionale delle Scienze americana. La proteina tau sintetica messa a punto dai ricercatori coordinati da Songi Han è una versione ridotta di quella originale, ma si comporta esattamente allo stesso modo, ripiegandosi in maniera scorretta, aggregandosi in grovigli e trasmettendo il difetto anche a quelle circostanti, in una reazione a catena senza fine. "Abbiamo creato una versione mini più facile da controllare - dice Han - ma svolge le stesse funzioni della proteina completa". L'accumulo di proteine tau mal ripiegate è appunto alla base della progressione di questa classe di malattie neurodegenerative, dette infatti anche 'taupatie'. I risultati mostrano che gioca un ruolo fondamentale la mutazione chiamata P301L: facilita, infatti, un tipo di ripiegamento errato spesso osservato nei pazienti, ma non solo. Sembra che questa mutazione influenzi direttamente il comportamento delle molecole d'acqua che circondano le proteine, ed è ciò che consente a queste ultime di raggrupparsi insieme in grovigli e filamenti. "L'acqua è una molecola fluida - afferma Han - ma ha comunque una sua struttura: la mutazione potrebbe portare a una disposizione più strutturata delle molecole d'acqua circostanti, che influenza il modo in cui la proteina interagisce con le altre, legandole insieme. Se riuscissimo a capire come bloccare questa attività - conclude la ricercatrice - potremmo scoprire nuovi agenti terapeutici".

G.Lombardi--MJ